Pubblichiamo il testo dell'omelia pronunciata dal Vescovo di Padova, mons. Antonio Mattiazzo, il giorno del rito funebre a Fossò. Il testo è stato raccolto da registrazione audio.
Impariamo da questi grandi esempi che il Signore ci ha dato
Carissimi fratelli e sorelle, siamo qui riuniti con tanta mestizia nel cuore perché non ci aspettavamo una fine così repentina del nostro carissimo don Gimo.
Il 24 Agosto, solennità di S. Bartolomeo Apostolo patrono della Parrocchia, don Gimo, qui in questa sua chiesa, che tanto amava, celebrava la festa del Patrono S. Bartolomeo e sentiva già che il suo corpo è colpito dalla malattia. All’ospedale nelle prime analisi si rivela la sua gravità e aggressività e il 24 ottobre, giorno del Signore, alla mattina, nel sonno, ritorna a Dio.
Non ci aspettavamo una conclusione così repentina e dolorosa, ma questi sentimenti di profonda mestizia perché ci è tolta una persona così cara, così degna di stima e la vostra numerosa presenza qui, dicono eloquentemente tutta la considerazione, stima e affetto che avete verso don Gimo. Questi sentimenti devono anche in noi dare luogo alla luce della Fede e alla viva Speranza posta nel Signore. Io vorrei in questa luce di Fede e Speranza esprimere le condoglianze più vive e sincere ai fratelli e sorelle, ai familiari di don Gimo.
Egli veniva da una famiglia molto numerosa e unita, la quale sente profondamente il distacco. Nello stesso tempo, come Vescovo, desidero esprimere il ringraziamento più sincero a chi gli è stato più vicino, ma in particolare vorrei ringraziare tutte le persone che lo hanno amorevolmente assistito in questi ultimi due mesi e sarebbe lungo numerarle. Ma vorrei ringraziare in modo particolare il cappellano don Mario.
Don Gimo sapeva che la sua fine era imminente. Appariva chiaro anche l’ultima volta che l’ho incontrato, martedì pomeriggio.
Egli ci ha insegnato come affrontare la morte, infatti ha voluto ritornare nella sua casa, nella sua canonica, nella sua parrocchia, nella sua famiglia: morire in mezzo ai suoi non in modo anonimo, in una istituzione, intubato.
Io credo che noi dobbiamo recuperare un senso profondamente umano della morte che tante volte, per tante circostanze, ci viene tolto e noi cristiani in modo particolare perché abbiamo una visione inspirata dalla fede e dalla speranza. E poi don Gimo ci ha dato l’esempio come cristiano e come prete e ha chiesto di ricevere i sacramenti dell’unzione dei malati, il sacramento della confessione e il viatico per l’eternità.
Sono questi valori profondi che ci danno il senso della morte perché altrimenti ci fa paura e noi vogliamo rimuoverla. No, la morte fa parte della nostra vita, della nostra esistenza e la società la esclude perché non è più capace di dare un senso alla morte.
La Fede cristiana dà luce, speranza, valori anche a quello che umanamente sembra la cosa più negativa. Noi diciamo grazie a don Gimo, vostro parroco, perché ci ha dato un bell’esempio di come si soffre e come ci si prepara all’incontro definitivo con il Signore.
L’abbiamo ascoltato nel Vangelo: la morte non è un viaggio verso il nulla, verso la distruzione dell’essere, ma è il nostro essere che dopo aver vissuto in questo mondo, compiuta la propria missione si presenterà davanti al Signore perché da Lui siamo venuti, in Lui siamo fatti e a Lui dobbiamo ritornare e vedete questa è la speranza cristiana.
Dio non ha voluto la morte, è venuta a causa del peccato, del male e Cristo è venuto a redimerci e il cristiano quindi sa dare un senso positivo e pieno di luce e speranza.
È quella che anche noi vogliamo celebrare in questa Eucaristia dove viviamo la Pasqua del Signore. Il cristiano è uno che nasce dalla Pasqua del Signore: con il Battesimo nasce e vive per una dimensione Pasquale e che conclude la sua esistenza nella Pasqua del Signore nella vittoria definitiva ed eterna. È quello il punto di arrivo della nostra vita, noi siamo fatti per la vita e non per la morte, noi siamo fatti per la risurrezione.
Quando recitiamo il credo diciamo “credo nella risurrezione della carne e nella vita eterna”. Se togliamo questo traguardo finale la vita perde il significato e diventa anche assurda, ma occorre che noi desideriamo questa fede, speranza cristiana.
Noi siamo qui come comunità cristiana che ha ricevuto tanto da don Gimo, proprio pastore, colui che ha rappresentato il Signore, che ci ha dato i sacramenti, la Parola della vita eterna, i grandi valori della vita a partire da Gesù che sono poi i valori umani.
Ebbene noi siamo qui come comunità cristiana, come Vescovo assieme ai suoi presbiteri con tutti voi, rappresentanti della società civile, del comune, ad esprimere al Signore i nostri sentimenti di gratitudine e ringraziamento per il dono della vita e del ministero di don Gimo e supplicare perché purificato dalle mancanze che tutti commettiamo, sia introdotto subito nella gloria, nella beatitudine, nella gioia infinita del cielo.
Vogliamo anche in questo momento ricordare le tappe fondamentali della vita e missione di don Gimo. Era nato 64 anni fa a Lugo Vicentino nella diocesi di Padova in una famiglia numerosa.
Il Signore lo ha chiamato da questa famiglia profondamente cristiana con una vocazione particolare al ministero ed è entrato in seminario. E vorrei dire che sono stato suo prefetto in 5^ ginnasio e l’ho conosciuto bene.
Aveva già espresso il suo temperamento e carattere mite, socievole, alieno da ogni conflitto, generoso alla vita del seminario, qualità che poi porterà sempre con sé e che svilupperà.
Viene ordinato sacerdote il 14 giugno 1970, dopo è stato cooperatore festivo a Cassola, vice parroco a Casale di Scodosia, a Legnaro e poi parroco a S. Nazario nel 1983 quando poco dopo io arrivai come Vescovo e lo scelsi nel 1990 nella parrocchia di S. Angelo di Piove dove vi è rimasto per 15 anni, lasciando una impronta molto positiva e bella di dedizione totale per la vita della comunità. Dall’agosto del 2005 è stato parroco in questa grande parrocchia di Fossò che tanto amò e nel seno della quale ha voluto concludere la corsa della sua vita.
Tutti voi che l’avete conosciuto e noi che l’abbiamo conosciuto abbiamo potuto apprezzare le doti della sua personalità umana, piena di bontà e mitezza, ma anche chiaro, limpido, sicuro di quella che era la sua missione di sacerdote.
Possiamo dire che don Gimo ha prestato a Gesù questa sua umanità.
Il sacerdote è proprio questo, dona al Signore tutto se stesso la sua umanità perché il Signore, pastore dei pastori, attraverso di lui possa venire a contatto con le anime, lo rappresenta in modo positivo, amorevole. Questo è il sacerdote.
Noi vorremo che fossero tutti perfetti nella loro umanità, ma il Signore ci ha scelti così, non ha scelto degli angeli, ma gli uomini.
Quello che è importante del prete è che rappresenti Gesù, che ci dà i beni supremi della salvezza e don Gimo era molto consapevole di questo. Infatti nel suo testamento spirituale, breve ed essenziale come era lui, ringrazia il Signore di questo dono eccelso e il Signore valorizza sempre quello che siamo e ci prende come siamo, valorizza immensamente tutti, cristiani e preti.
Quanto noi abbiamo bisogno oggi di preti così. Pensiamo a tutto il bene che ha compiuto don Gimo: nell’educazione dei ragazzi, dei giovani e delle famiglie, nel dare il perdono, nel consacrare a Dio la vita nascente, il matrimonio, nell’essere vicino a tante persone malate portando loro il conforto della fede e speranza cristiana e animando anche la società con i valori della carità, con i valori del Vangelo.
Abbiamo tanto bisogno di persone che in maniera disinteressata e totale amino il popolo così come è come la propria famiglia.
Infatti il prete lascia la sua famiglia perché la parrocchia, la sua comunità diventano la sua famiglia, la sua sposa.
Come Gesù chiama la Chiesa la sua sposa così anche il prete ama in modo disinteressato, si dona e si sacrifica per la Chiesa come la sua sposa, come fanno un papà e una mamma per la loro famiglia a cui si donano totalmente.
Questo è davvero l’ideale più grande e bello e più alto e don Gimo lo ha proprio realizzato e gli è stato fedele. L’apostolo Paolo, quasi un suo testamento che abbiamo ascoltato nella seconda lettura, ci dice “ho portato a termine la mia corsa”. Corsa è un termine che indica generosità, alacrità. Paolo non si è seduto, si è donato, è andato dappertutto dove la missione lo chiamava, portando a termine l’impegno che Dio gli aveva affidato.
La vita non è mai qualcosa di banale, di superficiale. Io a volte vedo lo scadimento nel senso della vita oppure è gravata oggi da tante depressioni e fenomeni negativi. No, carissimi fratelli e sorelle, la vita è oggi un dono straordinario di Dio e noi dobbiamo viverla con tutti i talenti dateci e con perseveranza.
Chi assume un lavoro, un impegno nella società, un impegno pubblico, il prete, chi si sposa, quello che ci viene richiesto è la fedeltà anche di fronte agli ostacoli, alle prove, alle tentazioni, non venire mai meno alla fedeltà. La vera personalità si vede laddove uno rimane saldo, non si lascia abbattere, non si arrende, non è egoista, dove non pensa solo a se stesso e ai propri comodi, ma affronta la sua corsa in modo bello, profondo. Ha combattuto la sua battaglia gli ultimi mesi della sua malattia assistito da tutti noi, dalla Chiesa, dal Signore. Paolo si è trovato anche lui solo quando è stato allontanato, processato, ma non si è scoraggiato, perché ha sempre sentito la vicinanza del Signore che gli ha dato forza per portare a compimento la sua missione. Questo è estremamente importante e carico di fiducia, stimolante per noi.
Impariamo da questi grandi esempi che il Signore ci ha dato a portare a compimento la nostra missione con fedeltà. Ognuno di noi ha un compito e una missione da realizzare nella vita e se a volte le nostre forze vengono meno, ricordiamoci che c’è il Signore accanto a noi, facciamo appello a Lui. C’è tanto bisogno oggi di vedere questa perseveranza e fedeltà, questo non venir meno ai nostri obblighi e impegni e don Gimo ci ha dato un grande esempio e come Paolo poteva dire: “Ho combattuto la buona battaglia”.
Di fronte a un certo disimpegno, relativismo, permissivismo di oggi dobbiamo recuperare che la vita è una battaglia perché nella storia l’essenziale è la lotta tra il bene e il male. Il bene ci rende contenti, fa una società giusta, bella; il male ci rovina, crea tante ingiustizie e sofferenze. Ognuno di noi ha una sua battaglia da combattere dentro di sé per essere fedele al Signore nei compiti della scuola, in famiglia, dappertutto.
Queste parole di S. Paolo così bene vissute da don Gimo perché ha insegnato a tutti noi a non essere remissivi e depressi ma a saper lottare perché c’è la forza di Dio, abbiamo ricevuto la potenza, la forza e i sacramenti di Dio.
Tante volte dai media ci viene presentato più il male che il bene, ma sappiamo che c’è tanto bene. Abbiamo il coraggio di essere noi intrepidi e non lasciare dominare il male e come educatori cerchiamo di dare questo spirito alle nuove generazioni.
Poi Paolo dice: “Ho conservato la fede”, sembra una cosa da poco. La fede un dono così eccelso, grande perché ci dà di conoscere Dio e la vita eterna. La fede non è mai scontata possiamo essere increduli, se guardiamo bene dentro di noi c’è il credente e anche il dubbioso per non dire anche l’ateo che fa capolino. Una fede che anche oggi fa tante discussioni, non è aiutata da chi domina e ha il potere, perciò dobbiamo tenerla stretta noi, coltivarla perché è il dono più grande.
La domanda “che cosa ti dà la fede?”, non ti mette in tasca soldi o altre cose ma se noi la vivessimo bene, la vita e la società cambierebbero, sarebbero diverse.
La fede ci dà la vita eterna, ci fa entrare in relazione intima con il Signore, ci rende disponibili al prossimo perché la fede opera attraverso l’amore e la carità e il giudizio finale come abbiamo sentito sarà non sulle chiacchiere, sui soldi, sulle glorie mondane ma sul bene operato.
La fede è un bene prezioso e don Gimo nostro parroco, pastore, padre e madre, vi ha comunicato nel suo testamento “conservate la fede fondata sulla Parola di Dio, sui sacramenti, sull’esercizio delle opere di carità”. Bisogna dare respiro, forza, testimoniarla con umiltà, altrimenti viene meno.
La fede va testimoniata in modo intrepido, coraggioso come il prete che davanti a tutti, pubblicamente, proclama i valori del vangelo di Gesù, non testimonia se stesso ma i più grandi valori della vita.
Vogliamo ringraziare don Gimo di questa testimonianza e vogliamo prendere luce e inspirazione dal suo testamento che è la sua stessa persona a quello che lui ha vissuto per vivere anche noi nella fede e testimonianza dei valori cristiani.
Paolo termina dicendo “mi attende la corona di gloria…”. Il cristiano è un combattente e la corona si dà a chi ha lottato e si proclama vincitore. Quello che conta non è essere proclamati vincitori dalla televisione o dal mondo, ma che il Signore ti dice sei stato vincitore, perseverante, ti sei impegnato fino in fondo. Questi è quello a cui dobbiamo tendere, essere incoronati vincitori dal Signore per il bene che abbiamo fatto nella nostra vita. Noi siamo tutti fiduciosi perché don Gimo si è meritato questa corona e noi qui presenti in questa celebrazione vogliamo chiedere al Signore che abbia a ricompensare don Gimo e incoronarlo perché è stato atleta del Signore, perché ha combattuto la buona battaglia, perché ha compiuto fino in fondo la sua missione e noi chiediamo questa ricompensa e gloria.
Continuare in questa Eucaristia a guardare a Cristo Crocifisso e Risorto: davanti alla bara che racchiude i resti mortali di don Gimo è posto il segno pasquale. Il Cero Pasquale è quella fiammella pur tenue, è un segno che indica qualcosa di stupendo, grandioso, ricco di speranza. Indica il Risorto che ha detto: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita”. Queste parole in questo momento hanno un significato grandioso, le uniche su cui appoggiarsi di fronte alla morte.
Io sono la Resurrezione e la Vita, chi crede in me anche se morto vivrà e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Questa è la nostra fede e la nostra speranza e ci invita a guardare a don Gimo come a colui che ha concluso la sua corsa e viene incoronato da Cristo Crocifisso e Risorto e come dice nel suo testamento arrivederci e ritroviamoci tutti nella gloria della beatitudine del cielo.
+ mons. Antonio Mattiazzo, Vescovo di Padova
Fossò, 27 ottobre 2010, dall’omelia del funerale di don Gimo
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